Mettere in moto la consapevolezza

Quando pensiamo alla meditazione, l’immagine che affiora alla mente è quella di un praticante in posizione seduta, immobile, con aria tranquilla, serena, imperturbabile… Che ci vuole? Basta sedersi e stare fermi.

Purtroppo a volte accade che, soprattutto alle prime meditazioni, l’esperienza sia quella di un incontro (o scontro?) con l’inferno di dolori che l’immobilità sembra portarsi con sè. Con chirurgica precisione, l’immobilità continua puntualmente a conficcarci nella schiena i classici pugnali del meditante– un dolore  acuto, sotto la scapola. Quando le cose vanno meglio, i pugnali lasciano spazio a crampi, formicolii, gambe addormentate, pruriti,… e questi pruriti talvolta sono così simpatici che se ci concediamo la trasgressione di grattarci, avendo cura di non essere visti dall’insegnante (come fosse un professore a scuola), inevitabilmente ricompaiono da tutt’altra parte non appena ci siamo ricomposti nella posizione. In sostanza, sembra che, ogni volta che proviamo a stare fermi, qualcosa si ribelli. Seduti o sdraiati, cambia la posizione ma lo strazio è lo stesso.

Tutto ciò potrebbe poi innescare una spirale di dubbi e di giudizi negativi, alimentati dalla frustrazione del fallimento reiterato e farciti con frasi «perché solo io non riesco?», «cosa ho io di sbagliato?».

Come risarcimento danni per chi si riconosce in questa descrizione, ecco tre buone notizie.

  • Non è una condizione così rara, soprattutto all’inizio.
  • Non è una condizione definitiva.
  • Esistono pratiche di meditazione che non prevedono l’immobilità.

I primi due punti richiedono una specie di atto di fede, di continuare a praticare nella speranza che diventi via via meno insopportabile. I cervellofili potranno anche dilettarsi a riflettere sul fatto che dalla stessa osservazione «tutti sembrano riuscire a stare fermi e sereni, tranne me» potrebbero scaturire due possibili inferenze: una positiva, ovvero «se gli altri praticanti non sembrano stare male forse è perché effettivamente è una condizione iniziale e transitoria»; una negativa, ossia «sono l’unica persona condannata a questa condizione». Anche se le indicazioni dei maestri e i racconti delle esperienze di tanti compagni di pratica supporterebbero l’opzione positiva, il fascino del negativo è irresistibile.

La terza buona notizia, ovvero l’esistenza di pratiche che non prevedono l’immobilità, è più concreta: è possibile praticare la meditazione camminata, che in diverse tradizioni viene tipicamente alternata alla meditazione seduta.

La pratica del meditare camminando, in movimento, in genere non viene guidata: dopo la spiegazione della tecnica, a volte si fa qualche passo insieme e poi ognuno procede in autonomia, con i propri ritmi.

Una possibile spiegazione della pratica è la seguente. Dalla posizione in piedi, con le mani intrecciate e poggiate sullo stomaco, lo sguardo qualche metro avanti a noi e l’attenzione alla pianta dei piedi, iniziamo a camminare insieme al respiro. Inspirando, solleviamo il piede destro; espirando, poggiamo il tallone destro circa mezzo piede più avanti rispetto alla posizione originaria, poi poggiamo la parte esterna del piede, quella interna e le dita, osservando anche che al contempo si sta spontaneamente sollevando il tallone sinistro, seguito dal resto del piede, fino all’alluce; inspirando l’alluce sinistro si stacca dal pavimento e avanza di mezzo piede rispetto alla posizione originaria; espirando, il tallone sinistro poggia al suolo…e così via, in un movimento che trae la fluidità e il ritmo dal respiro spontaneo.

Camminiamo sul respiro, ricordandoci che, pur non avendo una destinazione, stiamo arrivando ad ogni singolo passo.

Come nella meditazione seduta, se la mente si allontana, catturata da un pensiero, appena ce ne accorgiamo riportiamo l’attenzione alla pianta dei piedi. Gentilmente e senza giudizio, cogliamo il passo di questo momento come un’occasione di ripartenza.

Rallentando e senza andare da nessuna parte, forse si potrebbe arrivare al cuscino. Altrimenti, possiamo continuare ad arrivare a ogni passo.

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