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Praticare Mindfulness nella tempesta: perseverare e agire

di Roberto Ferrari

Molti di noi al momento possono sentirsi in una spirale di caos. La guerra, la pandemia, l’energia, le migrazioni e il razzismo, la violenza gratuita, i ghiacciai che si sciolgono, il tracollo economico, la paura di perdere il lavoro, la confusione. Tempeste che emergono con forme e velocità differenti sul nostro pianeta.
Tenerle tutte nel cuore ci fa sentire sopraffatti, impotenti. Sembra troppo da affrontare.

E di fatto è troppo, per chiunque, soprattutto se è solo. Sento diverse persone manifestare quella che potremmo chiamare una “spossatezza da vigilanza”: questo stare sempre attenti alle notizie, alle minacce, all’incertezza. Abbiamo tutti una certa dose di energia, ed è limitata. 

Dal punto di vista della consapevolezza che coltiviamo con la Mindfulness, cosa ci dice tutto questo?
Che è normale essere stanchi, spossati, sentirsi impotenti, costretti a una vita di cui non vediamo bene il senso. E che è ingenuo pensare che meditare sul respiro elimini tutta questa fatica e sofferenza. Ma la Mindfulness è una possibilità più sottile e concreta: può sradicare la sofferenza aggiuntiva, che infliggiamo a noi stessi e agli altri nella forma di giudizi spietati e reazioni impulsive al nostro senso di impotenza e stanchezza.

Tolto quello strato di inutile sofferenza possiamo chiederci in modo molto più efficace:

Cosa posso fare per me stesso e per gli altri, pur vivendo con questo stato di stanchezza, con questa sensazione di essere sopraffatto da eventi terribili?

È una domanda che ha tante risposte possibili, ma… non sono tutte giuste! Alcune sono palesemente sbagliate. Come lasciarsi andare alla passività, al disimpegno perché sentiamo di non poter fare la differenza, che è tutto inutile. O disseminare intorno a noi lamentazioni e sfoghi.

Nel Buddhismo vengono elencate sei virtù, ed una di esse è particolarmente importante per questa sensazione di spossatezza: è virya, che ben corrisponde ad una delle quattro virtù cardinali della cristianità, la fortezza. Virya è spesso tradotta con forza, entusiasmo o coraggio, ma personalmente la sento resa al meglio da un termine prezioso: perseveranza. È un concetto molto ricco, che esprime l’energia che dedichiamo nel tempo a coltivare la consapevolezza, uno stato interiore di ricerca del meglio per noi e gli altri.
È la perseveranza che ci permette di distinguere tra un momento di riposo e uno di ozio, tra sonnecchiare e meditare. Lungi dall’essere un’ulteriore fatica, la perseveranza è un impegno che ci rinvigorisce, perché ci tiene vicini alla nostra natura autentica.

Il mondo non è un luogo di giustizia, è un caos folle. Ed è infantile rimuginarci su, indignarci, arrabbiarci e pretendere che sia diverso. Ma possiamo coltivare con perseveranza la pratica di essere lucidamente consapevoli di questo. Che non è niente, anzi è qualcosa di operativo: da qui nascono domande sincere, sentite, e come risposta nascono azioni giuste, rispettose, da chi sente le sofferenze. Può nascere un’azione piccola, singola o collettiva, ma notiamo subito che ha un livello superiore di energia rispetto alla reattività emotiva o al rimuginare.

Senza negare la stanchezza di questo periodo, potremmo scoprire che la consapevolezza è già di per sé una dimensione di profondo riposo. Molto più ricca di stare sul divano a guardare serie televisive.
La fortezza, più che il coraggio di chi si sente invulnerabile, è l’energia continua e risoluta che nasce dalla consapevolezza della nostra fragilità personale e planetaria, da una limpida motivazione e domanda in merito. Mette da parte l’idea di risolvere tutti i problemi, ci fa riconoscere che l’aspettativa di sicurezza e di riconoscimenti è inutile e sopravvalutata. Con la perseveranza non cerchiamo solo di migliorare la vita e il pianeta, ma anche ci chiediamo, con dedizione:

Che relazione ho con la vita? Che orientamento ha la mia vita? Cosa la sospinge?

Qui si sfora nelle grandi domande. Ma voglio tornare a cosa significa concretamente “perseveranza”, in questi tempi così faticosi.
Per prima cosa, che non dovremmo stancarci di essere gentili con noi stessi, ma accogliere il fatto che se ci sentiamo esauriti e che vorremmo mollare tutto, questo è un fatto naturale. Poi che si tratta di sentire lo stato in cui siamo, interrogarci e agire, con le forze a nostra disposizione, per fare qualcosa per noi stessi e per gli altri. E che occorre riposare, e facendolo occorre anche distinguere bene tra stanchezza e pigrizia, bisogno di raccoglierci e auto-indulgenza.

Le azioni possono essere tante e piccolissime, ma parlando di Mindfulness è importante creare loro una base solida: rammemorare l’impegno alla pratica quotidiana, a darci pause di ascolto del corpo, spazi per muoverlo in consapevolezza, riposare durante semplici azioni come lavarci o portare fuori la spazzatura, e lasciare che sensazioni magari anche inedite e strane prendano spazio senza timori. Camminare per andare al lavoro o a fare la spesa raccolti nel momento presente e… sconosciuto; osservando con cura – non giudicando – quando non resistiamo a controllare il cellulare o a mandare quel messaggio.

La perseveranza non porta ad azioni eroiche che ci spingono oltre i nostri limiti, non richiede di negare se stessi e trattarsi con durezza. È continuare per strada scelta riconoscendo le nostre capacità e limiti in questo momento. Chiedendoci con tutta l’onestà di cui siamo capaci: questo mio crollare sul divano è stanchezza oppure è apatia? Questo sedermi sul cuscino è autentica ricerca di consapevolezza oppure è coltivare un’immagine di me?

Si tratta solo di essere fedeli a noi stessi, riportare la pratica nei nostri corpi e nei nostri giorni, con perseveranza e integrità.
Anni fa dicevo tra me e me: “Fiducia nel cuscino”! Oggi prendo a prestito parole molto più sagge, di Suzuki Roshi:

“Fiducia incrollabile nella nostra Natura Originaria”

Così scopriamo – e vi assicuro che lo si scopre davvero – che dentro di noi ci sono molte più risorse ed energie di quante credevamo. Semplicemente questi tempi complicati e le nostre complessità emotive e intellettive oscurano queste risorse, e ce le dimentichiamo.

Cosa posso fare per sostenere me e gli altri, anche se sono così stanco?

Già farsi questa domanda attiva energie, no?

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