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Praticare la Mindfulness tra impegno e gentilezza

di Roberto Ferrari

Nei giorni insoliti e speciali che stiamo vivendo  diversi di noi vogliono impegnarsi nella “pratica della consapevolezza”, che oggi è conosciuta sotto il nome di Mindfulness: facciamo molti buoni propositi, anche perché in questo periodo d’incertezza è utile darsi obiettivi.

Ma è particolarmente difficile stabilire un momento fisso per praticare, e difficile mantenerlo: i ritmi delle giornate sono incalzanti e in fondo davvero strani.

Nell’attuale clima di incertezza è certamente un’ottima idea darsi una routine quotidiana, una routine con diverse attività che possono essere realizzate senza sfide impossibili, e includere la Mindfulness tra queste. Però a volte la mente è come gelatina, quei piatti a base di gelatina che mi faceva la mamma da piccolo (aspic!) e che se li tenevi in mano erano tutti tremolanti. Per la gelatina-mente occorre quindi una base solida, un tavolo stabile su cui appoggiarla per fermarla e osservarla con cura.

Questa base stabile la offre la routine quotidiana di pratica della Mindfulness, svolta con serenità, traendone una quieta soddisfazione. È molto meglio che non far nulla e lasciare che la mente resti preda dei suoi automatismi che ci fanno vagare senza meta, automatismi fatti di pensieri che diventano rimuginare, di valutazioni che diventano giudizi, di desideri che diventano pretese e indignazione che diventa rabbia. Anche verso noi stessi.

Tuttavia questa è una lama a doppio taglio: nel programmare uno spazio per la pratica di Mindfulness, c’è sempre il rischio che gli obiettivi diventino i nostri nuovi “tiranni”. È vero, sono fonte di motivazione, ma possono innescare cicli di auto-giudizio e auto-rimprovero quando “falliamo”, ancora di più perché pensiamo “era una piccola cosa, se non riesco a fare neppure questa…”.

Per questo tutte le volte che si parla di Mindfulness si sottolinea l’aspetto della gentilezza, generosità, benevolenza verso se stessi (fallimenti e giudizi compresi) – e verso gli altri.

Quando la mente viene portata via da un pensiero, è importante non etichettare questo come un fallimento; questo “ricercare il successo” e la performance rende solo la pratica terribile per chiunque. È invece utile rammentare che il vagare tra narrazioni (l’attività dei circuiti nervosi che le neuroscienze hanno chiamato DMN, Default Mode Network) è il funzionamento naturale della mente, selezionato dall’evoluzione e portatore di creatività e immaginazione. E poi, con delicatezza e decisione, riportare l’attenzione al respiro, al corpo, allo spazio interiore: alla percezione viva, diretta, fresca, di ciò che accade ora. Ci congratuliamo con noi stessi per essere “tornati a casa” nel momento presente. Quello è il successo, e non ci sarebbe stato se non ci fossimo seduti su quella sedia o cuscino.

Praticare questo non-fare (non prevedere, non pretendere, non preoccuparsi) ma essere presenza sveglia, è il nucleo della Mindfulness. Non è qualcosa da capire in teoria, diventa più facile solo nella misura in cui lo frequentiamo. Nessuno di noi si lamenta di non sollevare un grosso peso in palestra, la forza di gravità domina la situazione; ma sa che può sollevare un peso più piccolo molte volte e con questo esercizio diventare più forte. Il principio è lo stesso.

E quando ci sentiamo “falliti”? Gentilezza, essere dei buoni amici per noi stessi, non dei giudici spietati: lo so, è più facile a dirsi che a farsi, ma anche questa gentilezza è da esercitare, proprio come l’attenzione! Possiamo provare: ogni tanto ripetere la parola “gentilezza!”, e magari ritornare al cuore, trovarci silenzio e apertura, accogliere anche giudizi e recriminazioni.

Quando pratichiamo Mindfulness c’è totale impegno e totale gentilezza. Non sono in contraddizione, e non occorre cercare un “giusto mezzo: tutti e due sono totalmente veri. Un impegno profondo ci sostiene e dà valore a quello che facciamo. Un moto di gentilezza verso noi stessi cancella quella durezza che toglierebbe quel valore.

Quindi, proviamo a praticare ogni giorno, ma con obiettivi realistici: che siano 30 o 45 minuti, che sia la mattina o la sera. Gli audio possono essere un aiuto considerevole, ma provate a proseguire qualche minuto anche da soli. E se un giorno “non viene bene…” oppure “ho fatto solo metà dell’esercizio…”, non è un fallimento: è pratica, e quei pochi minuti di silenzio e immobilità, sono infinitamente meglio di aver fatto “niente pratica” per evitare la frustrazione del giudizio!

C’è un alto livello di pressione su di noi, in questo periodo straordinario. Evitiamo di mettere altra pressione, altri obiettivi, per riempire di senso il tempo vuoto.

Piuttosto: “Eccomi. Posso lasciar andare. Un minuto, attento, semplice”.

La pratica della Mindfulness è questo ascolto e abbandono, è essere interi anche solo per un istante. È ristorare la mente nella sorgente – vicinissima, qui – della consapevolezza.

Anche se ciò che emerge è un senso di impotenza, di fallimento o di vulnerabilità, lo consideriamo un buon segno, lo avvolgiamo di attenzione, cura, lo proteggiamo. Stiamo vicini alla vita come essa è.

La Mindfulness ha molteplici doni per noi; la riduzione dello stress solo il primo.

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