La mente e il lockdown: tra animali e Mindfulness
Dal punto di vista di questa presenza al mondo che chiamiamo “mente”, il lockdown 2020 è stato un esperimento naturale, su cui a qualche mese di distanza è interessante riflettere.
È stato indimenticabile il silenzio che ci ha avvolti, almeno nelle primissime settimane. E la comparsa degli animali: uccelli, topolini, mosche e caprioli. In realtà non se ne erano mai andati, ma la loro presenza è diventata evidente e immediata. Non evitabile.
Anche nella mia casa, benchè in centro, si mostrava la notte un piccolo geco che vive sotto le tegole del tetto; ed è stata impressionante la sera in cui – una sera precisa, di marzo, sono arrivati – i primi rondoni hanno aperto spazi di silenzio ancora più profondi al tramonto, tagliando l’aria con il loro garrire lungo, affilato; con quel volo di archi perfetti e code biforcute che si aprono per frenate improvvise, a mezz’aria, e cambi di prospettiva.
Ognuno di noi ha visto e udito animali che non eravamo più in grado di udire. Ha visto risplendere il verde delle foglie nuove, come non lo aveva mai sentito. E i primi fiori, come lo sbocciare di parole mute ma esatte, ineccepibili.
Mi sono ritrovato, alcuni istanti al giorno, a mettere da parte le chiacchiere e le opinioni, ho guardato le forme della vita e mi sono fatto guardare da loro. Senza desiderio di afferrare, capire, classificare – una condizione sorprendente per un biologo.
Ho notato un aumento netto della biodiversità, non solo zoologica, ma del mio stesso sentire. Il silenzio amplificava sfumature, cambi di luce, sibili e scorrimenti, tocchi dell’aria pulita sulle narici. Una diminuzione dell’abitudine a conquistare posizioni, produrre rappresentazioni, creare sintesi e percorsi razionali.
Sperimentare il silenzio delle prime settimane di lockdown mi ha fatto anche ritrovare immobile, lì, a percepire l’incertezza e l’impotenza che ero. Solo ora, mesi dopo, penso che a modo mio stavo forse coltivando resilienza: la capacità di recupero di un bosco nasce prima di tutto dal lasciarsi bruciare, dall’accogliere le fiamme e il disastro che producono. Dal non rifiutarlo e non esserne solo vittima. Non posso dimenticare – nessuno di noi può – il morso delle immagini dei camion militari, degli sforzi dei sanitari, il pensiero che ci fossero persone “sacrificabili” perché altri si salvassero, il non poter salutare e seppellire i propri cari – un rito che la nostra specie compie ininterrottamente da 40.000 anni.
Per la Mindfulness, la disciplina della presenza mentale, il recupero parte dall’accogliere completamente la catastrofe, affondare nell’ondata. E poi riemergere con una “zona di resilienza” più ampia, senza bloccarsi in uno stato di tensione permanente o affondare in uno stato stagnante di bassa energia.
Da un punto di vista ambientale, il SARS-Cov-2 è apparso come un segnale chiaro dell’interdipendenza planetaria e del disastro che rappresenta l’invasione dell’ambiente – di ogni ambiente naturale – da parte di Homo sapiens. Ad ogni causa corrisponde un effetto e l’ambiente ce lo ha proposto, senza intenzione ma con una strana precisione, come pesata col bilancino; sta accadendo con gli animali selvatici quello che accadde con i primi animali domestici in Medio Oriente e Europa 10.000 anni fa, all’inizio dell’era agricola: gli uomini, vivendo con ovini, bovini, suini e uccelli, svilupparono da loro le grandi infezioni quali morbillo, tubercolosi, vaiolo, influenza, pertosse; con stragi e adattamenti siamo sopravvissuti. Oggi le nuove grandi infezioni planetarie sono causate dalla vicinanza obbligatoria dell’uomo con serpenti, pipistrelli, pangolini e uccelli migratori, che non hanno più spazi dove vivere lontano da questo primate nudo, affamato di spazio e risorse; infezioni magari poi amplificate da allevamenti industriali o altre cause legate alla attività umana.
La scienza è una grandissima impresa intellettuale, una delle migliori e più oneste che l’uomo ha prodotto. Ma questa situazione ci ha anche reso consapevoli di come la realtà, la nostra e la realtà naturale, non si fa ricoprire completamente dalle parole, neppure quelle dell’epidemiologia e della genetica. La realtà non si fa rappresentare, controllare, mappare. Sfugge, smargina.
Ci siamo trovati nel silenzio delle parole, delle definizioni e dei confini, e siamo dovuti entrare in zone sconosciute. Abbiamo fatto qualche passo nella percezione immediata di un’energia vibrante di vita, di esistenze in forme diverse ma in fondo indistinte. Della presenza della morte, del non sapere cosa accadrà, del non sapere quando e se si ripeterà una nuova pandemia.
Come ci ha colpito? Non c’è la risposta giusta, la risposta è quello che sentiamo.
È stato anche un esperimento naturale di Mindfulness collettiva. Presenza mentale obbligatoria al mistero, la chiamerei.
Almeno le prime settimane. Poi sono arrivati i rapporti sulla pandemia, le teleconferenze, le serie televisive, il pane fatto in casa, le videochiamate con amici e parenti, a darci un poco di sollievo; perché l’intensità del silenzio e dello sconosciuto va dosata: tutta in un colpo è troppo.